Scopri come la decisione di Draghi di dire addio a benzina e diesel sta cambiando il futuro energetico dell’Europa grazie all’accordo con il governo italiano.
L’asse Roma-Bruxelles sulla transizione dell’auto prende forma e imprime una sterzata al dibattito europeo sul 2035. Mentre il Governo italiano incalza la Commissione e i partner dell’Unione a rivedere le regole del Green Deal, Mario Draghi dal palco della Conferenza di alto livello sulla Competitività dell’Ue fa suonare l’allarme: “In alcuni settori, come quello automobilistico, gli obiettivi dell’Ue si basano su presupposti che non sono più validi”.

Non una decisione formale, ma un indirizzo politico di peso che, nella lettura dei palazzi, si traduce in un “via libera” a riaprire il dossier. E che si salda con la linea del Governo: ricalibrare tempi, strumenti e priorità, includendo i biocarburanti, sostenendo le piccole elettriche e finanziando davvero la transizione.
Il pensiero di Draghi e la scadenza dell’Europa “Preferibilmente” 2035
“Da consumare preferibilmente entro il 2035”: se i motori tradizionali avessero un’etichetta, la differenza starebbe proprio in quel “preferibilmente”.
L’Europa, che ha fissato l’azzeramento delle emissioni allo scarico per auto e furgoni al 2035, si trova ora a fare i conti con un mercato elettrico più lento delle attese, batterie e microchip che non hanno seguito la curva auspicata e infrastrutture di ricarica ancora insufficienti. È lo scenario che Draghi fotografa a Bruxelles: il meccanismo virtuoso immaginato non si è innescato con la forza prevista.

Al Festival Eco sulla mobilità sostenibile, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, anticipa la possibile retromarcia: “Secondo me, l’Ue ci ripenserà e il motore termico avrà ancora tanto tempo avanti”.
La chiave, spiega, è tecnologica e regolatoria: “L’endotermico può funzionare anche i biocarburanti, che hanno emissioni bassissime”. Oggi Bruxelles ha aperto un corridoio per gli e-fuel, carburanti sintetici a base di idrogeno e CO2, ma tiene fuori i biofuel avanzati su cui l’Italia sta investendo. “Piuttosto che niente, meglio piuttosto. L’Europa non l’ha ancora capito e ha fatto muro”, attacca il ministro, invocando la fine della “visione sovietica dello Stato che decide sulla produzione”.
In videomessaggio, il titolare del Mimit, Adolfo Urso, riprende il filo politico: “Occorre rivedere rapidamente le regole del Green Deal, troppo rigide e lontane dalla realtà, per la tenuta del comparto e per migliorare subito il parco circolante”, ricordando un’età media delle auto in Italia di 13 anni. Urso rivendica il “non paper automotive”, sottoscritto da altri 14 Paesi, che chiede riforme radicali, strategie comuni e fondi adeguati.
“Il nostro obiettivo prioritario è favorire la produzione di auto di piccole dimensioni, le e-car, strategiche per il mercato e necessarie alle famiglie”, anche attraverso soluzioni di noleggio a lungo termine. Incentivi europei, più filiera domestica e prezzi accessibili.
Il “Draghipensiero”: obiettivi da ritarare, non da archiviare
Draghi non azzera l’ambizione climatica, ma ne contesta la traiettoria temporale e la base ipotetica: la sincronizzazione tra mercato, infrastrutture e innovazione non è avvenuta.
L’ex premier ricorda che l’obiettivo 2035 doveva stimolare investimenti e far scendere i prezzi dei modelli elettrici; a oggi, la domanda stenta e la concorrenza extra-Ue, soprattutto cinese, corre più veloce sui segmenti entry-level. Da qui la spinta a una revisione pragmatica: coordinare politica industriale, approvvigionamenti strategici e neutralità tecnologica, senza dogmi.

Sul tavolo europeo c’è la revisione prevista nel 2026 del regolamento CO2 per auto e van: una finestra per correggere rotta, chiarire il perimetro dei carburanti a emissioni basse o quasi nulle, rafforzare gli obiettivi intermedi e sostenere reti di ricarica e produzione di batterie. La Germania ha già strappato uno spiraglio per le e-fuel-only car; l’Italia chiede pari dignità per i biofuel avanzati, settore in cui le biobioraffinerie nazionali rivendicano primati tecnologici. Le resistenze non mancano, tra chi teme un indebolimento della traiettoria climatica e chi vede nei carburanti alternativi un rischio di lock-in tecnologico. I costruttori, divisi tra accelerazione elettrica e gestione del venduto termico, guardano ai costi e alla domanda reale.
Per la filiera italiana dell’auto, una ricalibratura significherebbe tempo e risorse per riconvertire stabilimenti, formare lavoratori e presidiare le catene del valore di batterie e semiconduttori. Per i consumatori, l’orizzonte si traduce in un’offerta più ampia: piccole elettriche a prezzi più accessibili, ibride più efficienti e, se Bruxelles aprisse, modelli termici alimentati da biocarburanti avanzati. Resta cruciale la disponibilità capillare di ricariche e una politica di incentivi semplice, stabile e mirata alle fasce di reddito medio-basse.
Nel lessico dei corridoi europei, la “decisione” di Draghi pesa come orientamento politico e dà copertura a un negoziato che l’Italia vuole allargare ad altri Stati membri. Più che un accordo scritto, è una convergenza di fatto: Roma spinge su neutralità tecnologica, piccoli segmenti elettrici e fondi comuni; Bruxelles, forte del monito di Draghi, apre a una verifica basata su dati industriali e di mercato. I prossimi snodi passeranno per il Consiglio Competitività, il confronto in Commissione sulla revisione del 2026 e la definizione di strumenti finanziari per accelerare infrastrutture e produzione europea di tecnologie chiave.