Vuoi una busta paga più leggera per il Fisco e più pesante per te? Ecco come avere l’aumento in busta paga senza tasse e chi può beneficiarne.
Chi non vorrebbe un aumento in busta paga? Il più delle volte, però, questo viene “mangiato” dalle tasse. Ma c’è una bella notizia per tanti lavoratori che attendevano un aumento dello stipendio. Sì, perché alcuni di loro potranno averlo senza tasse.

Questa misura non spetta a tutti. Ecco allora chi sarà escluso e come funziona questo aumento previsto nella Manovra in arrivo e tutte le altre novità che vi gravitano intorno.
Come funziona l’aumento in busta paga senza tasse
Nessuno vuole un aumento “mangiato” dalle tasse. Eppure potrebbe succedere, perché la nuova misura di detassazione del 10% sugli aumenti in busta paga varrà solo per i rinnovi contrattuali firmati tra il 2026 e il 2028. Tradotto: se il tuo CCNL si chiude fuori finestra, l’aumento arriva ma il Fisco non farà sconti.

I fatti sono chiari: il Governo, nella Manovra in arrivo, punta a premiare i rinnovi contrattuali con un’imposta sostitutiva al 10% sugli incrementi retributivi. L’obiettivo è accelerare la contrattazione e rimettere in moto i tavoli. Ma c’è un rovescio: chi ha un contratto già rinnovato prima del 2026, o con scadenza dopo il 2028 senza un nuovo accordo nel mezzo, non potrà sfruttare il bonus fiscale.
È il caso, ad esempio, dell’Artigianato Edile: il CCNL rinnovato con decorrenza 1° maggio 2025 e scadenza al 30 settembre 2028 prevede un aumento complessivo di 178 euro lordi a regime per il parametro 100 (Operaio Comune), spalmato in quattro tranche (75 euro da maggio 2025; 35 euro da gennaio 2026; 35 euro da gennaio 2027; 33 euro da gennaio 2028). Gli aumenti ci sono e sono sacrosanti, ma non beneficeranno della detassazione del 10%, perché il rinnovo è stato firmato nel 2025, fuori dal periodo incentivato.
Non è un caso isolato. Secondo Confartigianato, nelle costruzioni lavorano circa 1,6 milioni di addetti, con 762.000 dipendenti nelle imprese artigiane, pari al 48,4%: una porzione enorme che rischia di restare tagliata fuori. E lo scenario si allarga: commercio, terziario e turismo hanno rinnovato nel 2024; stessa musica per molti artigiani di abbigliamento, tessile, metalmeccanica, installatori, parrucchieri, estetisti, ceramisti.
Per questi ultimi, i contratti scadono al 31 dicembre 2026: gli aumenti in corso sono già in pagamento, e l’unica vera chance di entrare nella finestra agevolata sarà un nuovo rinnovo tra 2027 e 2028. Salvo, certo, un improvviso “colpo di teatro” del MEF che allunghi o allarghi la misura.
Perché devi interessartene ora? Perché ignorare il tema significa pianificare male il tuo netto in busta nel 2026-2028. Chi rientra nella detassazione si ritroverà con un netto più alto a parità di aumento, mentre chi resta fuori vedrà un’inflazione che erode il potere d’acquisto, arretrati tassati a regime e una differenza reale in tasca rispetto ad altri settori. Il rischio è doppio: da un lato conti domestici sballati (mutuo, affitto, bollette, spesa), dall’altro meno margine per chiedere correttivi in azienda perché “tanto il rinnovo è già chiuso”.
E attenzione alla percezione: una promessa di “aumento senza tasse” che non ti riguarda crea frustrazione e può spingere a scelte affrettate. Il tempo, in questo caso, è denaro: ciò che non organizzi oggi, lo paghi domani. La soluzione non è aspettare con le braccia conserte. La prima mossa è verificare con precisione se il tuo CCNL rientra nella finestra 2026-2028 e quando scadrà. Se sei nel perimetro “escluso” (come artigiani edili con rinnovo 2025 o settori rinnovati nel 2024), non tutto è perduto: esistono strade alternative già collaudate e, soprattutto, legali e trasparenti.

La più solida è la leva dei premi di risultato (o di produttività) che, negli ultimi anni, hanno potuto beneficiare di una imposta sostitutiva agevolata al 10% o al 5% entro specifiche soglie, quando previste dalla normativa vigente e nel rispetto dei requisiti su indicatori di produttività, qualità, redditività o innovazione. Questa misura è stata più volte prorogata dal legislatore e rimodulata di anno in anno: vale la pena parlarne con il tuo consulente del lavoro o con il sindacato per capire se, nel tuo caso, si possa aprire un accordo di secondo livello aziendale o territoriale che inserisca un premio “agevolabile” al posto (o in aggiunta) a una quota di aumento lineare.
Se poi la conversione del premio in welfare aziendale è prevista, molti benefit possono essere esenti da imposte e contributi entro i limiti fissati dalla legge, trasformando euro lordi in valore netto: parliamo di servizi come buoni spesa, trasporto, istruzione, assistenza familiare, sanità integrativa. Anche i fringe benefit (per esempio buoni carburante o rimborsi utenze), se e nella misura in cui saranno confermati di anno in anno dal legislatore, possono alleggerire il conto fiscale. Queste non sono scorciatoie creative: sono strumenti disciplinati e tracciati, che migliaia di aziende usano già oggi.





