Notte di caos al San Raffaele di Milano: tra errori farmacologici e situazioni fuori controllo è successo l’impensabile.
Quando i medici scrivono alla direzione, di solito misurano le parole. Qui, invece, le mail parlano chiaro. Nelle segnalazioni interne inviate durante l’ultimo weekend, i camici bianchi denunciano reparti scoperti, procedure monche e possibili errori farmacologici evitati “per un soffio”. Noi non abbiamo potuto verificare in modo indipendente ogni episodio; le note, però, delineano un quadro coerente. E mettono in discussione la gestione dei turni.

Secondo queste mail, per coprire i vuoti l’ospedale si sarebbe affidato a una cooperativa esterna. Una scelta legale e diffusa, ma che impone coordinamento, consegne puntuali, accessi ai sistemi e protocolli condivisi. Qui starebbe il punto dolente: badge temporanei in ritardo, cartelle elettroniche non pienamente accessibili, consegne frettolose tra chi esce stremato e chi entra senza conoscere i percorsi. È il classico rischio del “tappo” messo a notte fonda.
Le accuse nelle mail: cos’è successo al San Raffaele di Milano
Un esempio ricorrente nelle segnalazioni: terapia serale prescritta, ma somministrazione slittata per incertezza sulla conferma del dosaggio. In un altro passaggio, un medico sostiene di aver bloccato la somministrazione di un farmaco perché il principio attivo non coincideva con quello in cartella. Sono racconti puntuali, con orari e lotti di farmaci. Non ci sono, al momento, comunicazioni pubbliche ufficiali dell’ospedale su questi specifici episodi. Se arriveranno, aggiorneremo.

Il contesto aiuta a leggere la notte. Gli studi internazionali descrivono il cosiddetto “weekend effect”: l’assistenza fuori dai giorni feriali è più fragile per carenza di personale e sovraccarico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, con l’iniziativa “Medication Without Harm”, ricorda che gli errori di terapia hanno un costo globale stimato in circa 42 miliardi di dollari l’anno e richiedono barriere multiple. In Italia, i dati OCSE indicano una dotazione di infermieri inferiore alla media europea; le società scientifiche chiedono da anni standard minimi di staffing per turno. Fatti che non scagionano né condannano nessuno, ma spiegano perché basti poco perché una notte diventi un domino.
La sicurezza dei pazienti non si regge sull’eroismo. Si regge su processi. Nei turni di Pronto soccorso e nei reparti, questo significa checklist uniche, doppia verifica dei farmaci ad alto rischio, consegne strutturate SBAR, accessi ai sistemi già pronti prima dell’ingresso in servizio, referenti in turno per i professionisti esterni. Significa anche un numero minimo di infermieri per letto, e un medico senior responsabile del coordinamento. Sono misure note, applicabili e misurabili. Qui sta la differenza tra affidarsi a una cooperativa esterna e integrarla davvero.
I medici che hanno scritto chiedono un audit rapido, la tracciatura degli eventi avversi e la restituzione dei dati a tutto il personale. È la strada giusta: senza numeri, si resta alle impressioni. Con i numeri, si capisce dove intervenire: farmaci look‑alike/sound‑alike, magazzino serale, variabilità dei protocolli tra week e weekend, gap formativi per chi copre i turni saltuariamente.
C’è un’immagine che torna: un orologio da parete alle 3:12, la lancetta che scatta e nessuno che può permettersi di sbagliare. È questo il patto implicito dell’ospedale con chi entra. Di fronte a una notte storta, quale impegno pubblico vorremmo leggere domani mattina sulla bacheca del San Raffaele? Una promessa generica o una lista di correzioni da fare subito, una per ogni rischio che abbiamo imparato a nominare?





