Se lavori con contratto smart-working, ci sono scivoloni burocratici che svuotano il portafoglio, benefit nascosti che nessuno ti dice e rimborsi che puoi recuperare solo se sai come muoverti. Ecco gli errori da evitare.
Dopo il COVID sempre più persone lavorano con contratto di smart-working, una modalità di lavoro da casa, molto accettata e gradita da tanti. Ma dietro la comodità di “non uscire di casa” si possono nascondere dei tranelli o, meglio, degli errori molto gravi che fanno regalare soldi e tempo.

Tra smart working, sigle, CCNL e mail “al volo”, è facilissimo sbagliare. Quanti giorni extra ti spettano davvero? Come si chiede il rimborso spese senza farsi tassare tutto? E soprattutto: come evitare gli errori che fanno scattare problemi o farti perdere benefici che ti spettano? Ecco tutto ciò che c’è da sapere su questo contratto.
Gli errori da evitare con contratto di smart-working
Il problema è più diffuso di quanto pensi: aziende e lavoratori spesso partono “alla buona”, con accordi verbali o messaggi su chat interne, ma la normativa sul lavoro agile chiede ordine e tracciabilità. Gli elementi base sono tre: un accordo individuale scritto che definisca tempi, modalità e strumenti; le comunicazioni obbligatorie a cura del datore tramite il portale istituzionale; la tutela della salute e sicurezza anche fuori sede, inclusi postura, postazione e formazione.

Se uno di questi tasselli salta, si creano crepe: straordinari non riconosciuti, reperibilità h24 mascherata, rimborsi contestati, fino a sanzioni per l’azienda. Di solito il pasticcio inizia così: ti propongono due giorni a settimana da remoto, ma niente carta firmata. Tu lavori, consumi energia elettrica, connessione internet, magari usi il tuo telefono per le call, però nessuno ti spiega come farti rimborsare. Poi, quando lo chiedi, ti dicono “facciamo un forfait di 20 euro e siamo a posto”. Peccato che, come ricordano i professionisti fiscali e i documenti dell’Agenzia delle Entrate, i rimborsi “a pacchetto” sono di norma imponibili.
Per non pagarci le tasse serve un criterio analitico e documentato: quanta banda hai usato per lavoro, quante ore hai tenuto acceso il PC, quale quota della bolletta è davvero imputabile all’azienda. Senza prove, quel rimborso rischia di essere tassato come reddito.
La buona notizia: si può rimettere tutto in carreggiata, senza drammi. Parti dalla base, cioè dal tuo CCNL e da eventuali accordi aziendali: lì si nascondono spesso i giorni extra di lavoro agile o di riposo collegati al lavoro da remoto. Non esiste una regola uguale per tutti: alcune realtà concedono più giorni “gratis” oltre il minimo interno; altre no. Quindi, prima di dare per scontato che ti spettino, verifica cosa dice la contrattazione del tuo settore e la policy interna. Se c’è, chiedi al tuo HR di indicarti dove leggerlo; se non c’è, puoi sempre proporre un’integrazione, magari coordinandoti con le RSU o i colleghi.
Poi pretendi un accordo individuale scritto. Dentro ci devono stare orari, obiettivi, strumenti, regole su trasferte e rientri, criteri per la sicurezza domestica e soprattutto il tuo diritto alla disconnessione. Questo documento taglia le ambiguità e ti aiuta anche sul fronte rimborsi. A proposito: se vuoi un rimborso spese non tassato, serve metodo. L’Agenzia delle Entrate ammette rimborsi se sono legati a costi sostenuti nell’interesse del datore e calcolati in modo analitico.

Tradotto in pratica, prepara un dossier semplice: copia delle bollette, piano tariffario della connessione, consumo medio del PC, una tabella con le ore lavorate da remoto e la quota attribuita al lavoro. Nella richiesta formale — sì, meglio email PEC o raccomandata — spiega il criterio e allega tutto. Il “forfait” comodo esiste, ma sappi che, salvo casi particolari, è di solito imponibile: meglio pochi euro puliti che un pacchetto che ti torna in busta paga come reddito.
Lato azienda, ricordati che la comunicazione obbligatoria di attivazione dello smart working va inviata tramite il portale del Ministero del Lavoro nei tempi previsti dalla normativa vigente: è un passaggio che tutela tutti ed evita noie. Cura anche la registrazione di presenze, pause e orari con sistemi affidabili: niente fogli Excel improvvisati che poi “si perdono”.
Sul fronte salute e sicurezza, non bastano due slide sulla postura: serve formazione adeguata, valutazione dei rischi e indicazioni chiare sulla postazione. Infine, se rientri in categorie protette previste da legge o accordi (genitori con figli piccoli, caregiver, lavoratori con disabilità o patologie), presenta la domanda con la documentazione che supporti la richiesta: un rifiuto “a sensazione” non regge se le condizioni per il lavoro agile ci sono davvero.





