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I due modelli di borse preferite dai ladri: “Vanno letteralmente a ruba”

Ci sono due modelli di borse che sono i preferiti dai ladri, vanno letteralmente a ruba. Oggi vi spieghiamo quali sono e anche il motivo che porta a queste situazioni.

C’è un dettaglio che gli addetti alla sicurezza stanno imparando a riconoscere all’istante, rivedendo i filmati delle telecamere dopo l’ennesimo colpo in boutique: i ladri non entrano per “guardare”, non sondano gli scaffali a caso. Hanno un obiettivo preciso, quasi chirurgico. E, secondo chi indaga su questa ondata di razzie nei negozi di pelletteria di fascia alta, sono due i modelli che “vanno letteralmente a ruba”. Due oggetti del desiderio che, per chi delinque, sono diventati sinonimo di rapidità, facilità di ricettazione e realizzo immediato.

I due modelli di borse preferite dai ladri: “Vanno letteralmente a ruba” (Uspms.it)

Il copione è spesso lo stesso: sopralluogo lampo, un varco aperto in pochi secondi, mani guantate che raggiungono dritto il ripiano giusto, e via in meno di un minuto. Non uno di più. L’elemento che colpisce gli inquirenti è la selettività: in mezzo a decine di borse pregiate, i malviventi afferrano sempre le stesse due tipologie. La sicurezza privata parla di “articoli segnaletici”, un’espressione che rende bene l’idea: appena i rapinatori ne intravedono la sagoma, scatta una specie di riflesso condizionato.

Perché proprio quelle? Le ipotesi si rincorrono. C’è chi punta il dito contro l’effetto social, dove certi modelli iconici rimbalzano in bacheche e reel, alimentando una domanda “aspirazionale” anche nel mercato grigio; chi osserva la componente logistica, ricordando come quel formato specifico sia più facile da impugnare e occultare durante la fuga; chi, infine, legge nella scelta una logica puramente economica: le due borse in questione mantengono il valore nel tempo, hanno un listino facilmente consultabile e un bacino di acquirenti disposto a pagare in contanti e senza troppe domande.

Ne parlano sottovoce anche i commercianti, spesso restii a dare dettagli che possano “ispirare” emulazioni. Eppure, tra i corridoi del settore, circola la stessa narrazione: le gang entrano, guardano un paio di scaffali e se ne vanno con il bottino che cercavano, ignorando quasi tutto il resto. In alcuni casi, raccontano fonti vicine alle indagini, perfino articoli di pregio di altri marchi rimangono intatti sugli espositori. Un indizio ulteriore che rafforza l’idea di una lista di priorità ristrettissima, con due posizioni in cima.

Ecco quali sono le borse nel mirino

La risposta emerge con chiarezza rielaborando le cronache più recenti: i ladri prendono di mira soprattutto le borse di Louis Vuitton e di Chanel. In un caso diventato emblematico, documentato anche da immagini circolate online, una boutique di pelletteria di lusso è stata svaligiata in pochi istanti: gli autori del colpo hanno puntato dritti agli scaffali dove erano esposti i modelli delle due maison, lasciando quasi intatti altri articoli. La proprietaria, sconvolta, ha raccontato che “hanno lasciato un cuore spezzato a metà”: è rimasto il negozio, ma sono spariti i pezzi più amati e riconoscibili.

Ecco quali sono le borse nel mirino – uspms.it

Louis Vuitton e Chanel non sono solo marchi, ma simboli. E certe borse – basti pensare ai modelli più richiesti, dalle tote capienti e quotidiane alle flap iconiche – incarnano uno status che sul mercato nero diventa valuta. Chi indaga conferma che la rivendita illecita può essere fulminea: gli articoli “giusti” hanno una platea vasta di compratori, spesso già pre-allineati, e un prezzo che si aggiorna di stagione in stagione, proprio come un listino ufficiale parallelo. Questo rende la selezione quasi scientifica: i ladri sanno riconoscere a distanza una Neverfull o una Speedy, così come una Classic Flap o una 2.55, e conoscono il margine di guadagno che può derivarne in poche ore.

Non è solo questione di fama. La standardizzazione di certi dettagli – catene, pellami, monogrammi, colorazioni senza tempo – facilita la rivendita anche oltre i confini locali. A ciò si aggiunge un ecosistema di canali digitali, gruppi chiusi e piattaforme di scambio dove le verifiche di autenticità vengono eluse con astuzia, tra foto rubate, descrizioni generiche e pagamenti frammentati. Anche quando i produttori rafforzano i sistemi di tracciamento, la filiera illecita trova scorciatoie: etichette rimosse, numeri seriali alterati, componenti sostituiti.

Matteo Fantozzi

Giornalista pubblicista dal 2013 è laureato in storia del cinema e autore di numerosi libri tra cui “Gabriele Muccino il poeta dell’incomunicabilità” e “Gennaro Volpe: sudore e cuore”. Protagonista in tv di trasmissioni come La Juve è sempre la Juve su T9 e Il processo dei tifosi su Teleroma 56.

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