Puoi andare in pensione a 64 anni ma ad una condizione: ecco di cosa si tratta, le ultime novità fanno tremare.
Il traguardo della pensione resta uno dei più ambiti fra i lavoratori italiani. Ogni autunno, con la legge di bilancio alle porte, ritorna la domanda che rimbalza in uffici e fabbriche: sarà l’anno buono per smettere di lavorare? Tra le ipotesi allo studio del governo c’è una novità che ha acceso il dibattito: permettere l’uscita a 64 anni ma ad una condizione.
Una strada inedita nel nostro sistema previdenziale, giudicata da diversi tecnici “penalizzante”, ma che potrebbe rappresentare una via d’uscita per chi non riesce a rientrare nelle misure già attive. Ecco se puoi uscire dal lavoro anche tu a 64 anni facendo così.
Uscire a lavoro a 64 anni è possibile ma il TFR maturato verrebbe “spalmato” come rendita mensile per colmare la distanza tra la pensione diretta maturata e una soglia minima richiesta. L’idea serve a consentire l’accesso a chi a 64 anni ha una contribuzione significativa, ma non dispone di un assegno sufficiente a centrare il requisito economico. La soglia di sicurezza indicata nelle bozze coincide con un importo pari o superiore a tre volte l’assegno sociale.
In valori ad oggi indicativi si parla di circa 1.600 euro lordi al mese. Il prezzo da pagare è la rinuncia al TFR in un’unica soluzione: la “liquidazione” diventerebbe un flusso mensile, con effetti sulla disponibilità immediata e sulla pianificazione familiare. Lavoratori di 64 anni con una storia contributiva di circa 25 anni, che non centrano i requisiti per le uscite alternative già disponibili.
Profili con carriere non continue o con retribuzioni non elevate, per cui l’assegno maturato è inferiore alla soglia richiesta e va “integrato” usando il TFR. Dipendenti privati con TFR consistente, frutto di percorsi lavorativi stabili: sono, di fatto, i più in grado di sostenere l’anticipo, perché dispongono del “cuscinetto” necessario. Possono uscire dal lavoro a questa età i contributivi puri post-1995: chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 (o ha optato per il sistema contributivo) e a 64 anni può vantare almeno 20-25 anni di contributi e una pensione teorica pari ad almeno tre volte l’assegno sociale può accedere alla pensione anticipata contributiva senza ricorrere al TFR.
È la platea che già oggi, con carriere solide e versamenti cospicui, riesce a uscire a 64 anni senza strumenti di integrazione esterni. Chi ha accumulato una rendita integrativa privata può utilizzarla, come già avviene, senza intaccare il TFR. Uomini con 42 anni e 10 mesi di contributi e donne con 41 anni e 10 mesi (con anticipata ordinaria). Non è previsto un limite di età: chi raggiunge queste anzianità può uscire anche a 64 anni.
Per chi rientra nelle categorie tutelate (secondo i requisiti vigenti), l’uscita è possibile al raggiungimento dei 41 anni di versamenti (Quota 41 per i precoci). E poi c’è l’Ape sociale che, se prorogata, resta la misura-ponte per invalidi, caregiver, disoccupati e addetti a mansioni gravose. Oggi richiede 63 anni e 5 mesi di età, 30 anni di contributi per alcune categorie e 36 anni per i gravosi. In questi casi il TFR spalmato non offre vantaggi.
La condizione chiave resta l’importo: la pensione maturata, da sola o con l’integrazione, deve raggiungere circa tre volte l’assegno sociale. Se l’assegno INPS è basso, serve un TFR di dimensioni adeguate per arrivare intorno ai 1.600 euro mensili. La misura tende a favorire chi ha avuto carriere continuative e ben retribuite, cioè proprio chi dispone di TFR elevato. I percorsi frammentati, tipici di contratti discontinui e settori a basso salario, faticano a trarne vantaggio.
Però, trasformare il TFR in rendita comporta la perdita del “gruzzolo” in un’unica soluzione, spesso usato per mutui, spese straordinarie o sostegno ai figli. Un vincolo che rende la scelta particolarmente delicata. La cornice normativa è in evoluzione e i dettagli operativi (soglie, platea, modalità di erogazione della rendita da TFR) dipendono dai testi definitivi.
Per molti, tuttavia, l’uscita a 64 anni sarà possibile senza nuovi strumenti; per altri, l’uso del TFR potrebbe rappresentare l’unico passaggio per centrare l’obiettivo, a patto di accettare la trasformazione della liquidazione in un reddito mensile e una pianificazione più rigorosa del bilancio familiare.
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