Indennità di accompagnamento: adesso si può ottenere anche solo per il rischio di cadere, la svolta inaspettata

Adesso si può ottenere l’indennità di accompagnamento anche solo per quanto riguarda il rischio di cadere, arriva la vera e propria svolta.

Una svolta inaspettata arriva dalla Corte di Cassazione: si può ottenere l’indennità di accompagnamento anche solo per il rischio di cadere.

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Indennità di accompagnamento: adesso si può ottenere anche solo per il rischio di cadere, la svolta inaspettata (uspms.it)

Non è più necessario dimostrare la necessità di un sostegno fisico continuo durante la deambulazione; è sufficiente che la persona, per le proprie condizioni di salute, non possa camminare senza una vigilanza costante, perché altrimenti esposta a cadute prevedibili e concrete. È un cambio di paradigma che avvicina l’interpretazione giurisprudenziale al vissuto quotidiano di tante persone fragili, per le quali la differenza tra autonomia apparente e sicurezza effettiva passa dalla presenza di qualcuno che vigili e sia pronto a intervenire.

L’indennità di accompagnamento, prevista dalla normativa su invalidità civile, si riconosce tradizionalmente in due ipotesi alternative: quando la persona non può deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure quando non è in grado di compiere gli atti quotidiani della vita senza assistenza continua. Per anni, nella prassi medico-legale e amministrativa, l’“aiuto permanente” è stato letto in modo restrittivo, come bisogno di un appoggio materiale e costante. La Suprema Corte, con una recente pronuncia, apre invece alla considerazione della “supervisione” come forma di assistenza di pari dignità rispetto al sostegno fisico, purché il rischio di caduta sia concreto, attuale e documentato.

La differenza non è solo terminologica. Pensiamo a chi è affetto da disturbi dell’equilibrio, esiti di patologie neurologiche, effetti di farmaci o condizioni cognitive che rendono imprevedibili i momenti di instabilità: persone capaci di fare qualche passo, magari in casa o con ausili, ma che senza sguardo attento altrui possono cadere e farsi male. Finora questi casi rischiavano di restare ai margini, perché l’autonomia “tecnica” di muovere i passi veniva scambiata per autosufficienza. La Cassazione chiarisce che l’assistenza, per essere giuridicamente rilevante, non deve per forza “sorreggere” il corpo: può anche essere sorveglianza pronta e continuativa, se l’assenza di tale presidio espone la persona a cadute con ragionevole prevedibilità.

Cosa dice la sentenza 28212/2025 della Cassazione e l’indennità di accompagnamento

Nella sentenza n. 28212 del 2025, la Corte di Cassazione ha affermato che rientra nella nozione di “aiuto permanente” richiesto dalla legge anche la necessità di una supervisione costante alla deambulazione, quando il soggetto, per le proprie patologie, sia esposto a un rischio concreto di caduta. La Corte richiama l’interpretazione funzionale del beneficio: lo scopo dell’indennità è compensare la perdita di autonomia in attività essenziali, tra cui lo spostamento in sicurezza. Se per camminare in condizioni ragionevoli di sicurezza è indispensabile la presenza di un accompagnatore che vigili ed eviti sinistri prevedibili, si configura la medesima impossibilità a deambulare “senza aiuto”, anche quando non serva un sostegno fisico continuo.

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Cosa dice la sentenza 28212/2025 della Cassazione e l’indennità di accompagnamento (uspms.it)

Dalla pronuncia emergono alcuni principi-guida:

  • l’assistenza può essere materiale (sostegno fisico) o di vigilanza (supervisione), se continua e funzionalmente necessaria alla deambulazione sicura;
  • il rischio di caduta deve essere specifico e supportato da evidenze cliniche, non meramente ipotetico;
  • la valutazione deve considerare la realtà domestica e gli spostamenti abituali, non solo test istantanei in ambiente controllato;
  • l’esigenza di supervisione deve presentare carattere di stabilità e non episodicità.

Operativamente, alle commissioni medico-legali è richiesto di accertare la necessità di una presenza costante in relazione alla deambulazione, andando oltre il solo dato di “quanto il soggetto cammina da solo”. Ai fini probatori, assumono rilievo anamnesi e referti su cadute, diagnosi che impattano su equilibrio, vigilanza e orientamento, eventuali indicazioni di fisiatria o neurologia circa l’opportunità di accompagnamento, oltre a relazioni dei servizi domiciliari. La disponibilità di ausili tecnici (deambulatori, bastoni) non esclude il diritto, se gli ausili non bastano a garantire sicurezza senza una persona che sorvegli.

Questa lettura incide anche sul contenzioso: chi si è visto negare l’indennità perché “deambula autonomamente” potrebbe avere titolo a chiedere una rivalutazione laddove il bisogno di supervisione sia chiaro e continuativo. Per le famiglie, significa impostare le richieste a INPS enfatizzando non solo l’autonomia motoria grezza, ma la sicurezza complessiva: documentare cadute, near-miss, prescrizioni di non camminare da soli, indicazioni di sorveglianza nei piani terapeutici. Per i medici certificatori, significa descrivere in modo puntuale la relazione tra patologia e rischio di caduta, la frequenza degli episodi e la necessità di una presenza vigilante, evitando formule generiche.

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