La Cina manda in tilt l’Europa: ecco come distruggeranno tutto in breve tempo

L’Europa in tilt a causa della Cina: ecco come questa potenza sta distruggendo tutto e continuerà a farlo.

Una mossa silenziosa, calibrata al millimetro: mentre Washington alza barriere, Pechino sposta gli equilibri con il cambio. L’Europa è il bersaglio involontario di una strategia che intreccia deflazione interna, svalutazione competitiva e dirottamento di merci verso il mercato più vulnerabile del mondo sviluppato.

Bandiera Cina
La Cina manda in tilt l’Europa: ecco come distruggeranno tutto in breve tempo – uspms.it

La Cina sta perseguendo una palese svalutazione del cambio per dirottare le sue esportazioni verso l’Europa e tenere botta ai dazi USA. Le borse lo hanno intuito prima dei comunicati ufficiali: nelle ultime settimane gli scossoni sui listini hanno fatto pensare a una nuova fase di scontro economico tra le prime due potenze globali. Ma mentre l’attenzione si concentra sulla retorica dei dazi, la vera linea del fronte scorre altrove, nei mercati valutari.

È qui che si intravede la chiave del mistero: lo yuan ha imboccato la via del deprezzamento, una discesa discreta ma regolare, da mesi. Contro l’euro, dai massimi toccati a febbraio, la valuta cinese ha perso oltre il 10%, restituendo competitività alle merci “Made in China” proprio mentre l’Europa annaspa tra crescita anemica e zavorre strutturali.

La Cina manda in tilt L’Europa: cosa sta succedendo?

Negli ultimi cinque anni, lo yuan risulta deprezzato intorno al 5-6% contro la moneta unica. Apparentemente poco, fino a sovrapporre i livelli dei prezzi: l’inflazione cinese, nel periodo, è rimasta sotto il 3% complessivo, mentre nell’Eurozona la corsa dei prezzi ha superato il 20%. In un mondo “in equilibrio”, la valuta di Pechino si sarebbe dovuta apprezzare; è accaduto l’opposto. Il differenziale inflazionistico suggerisce che la Cina sta accumulando vantaggio competitivo reale, come un fiume sotterraneo che scava il letto senza rumore.

Cartina Europa
La Cina manda in tilt L’Europa: cosa sta succedendo? – uspms.it

In Cina la domanda interna frena, i prezzi al consumo oscillano in territorio negativo, i consumi delle famiglie restano sotto il 40% del Pil e le fabbriche corrono il rischio di produrre più di quanto il mercato domestico possa assorbire. Di fronte al rallentamento globale e all’inasprimento dei dazi statunitensi, la leva del cambio appare lo strumento più rapido per scongiurare una spirale deflattiva. La Banca Popolare Cinese ha già abbassato il Loan Prime Rate fino al 3% e tagliato il coefficiente di riserva obbligatoria per le grandi banche verso il 7,5%, liberando liquidità e accompagnando una svalutazione “guidata”.

Negli ultimi anni, l’inasprimento tariffario su beni cinesi ha moltiplicato i dazi medi, erodendo quote di export verso gli Stati Uniti. Il deficit commerciale USA con la Cina, nei primi mesi dell’anno, è sceso in doppia cifra; il surplus di Pechino verso Washington, storicamente pilastro del suo modello, si assottiglia. Per un’economia che ha contato su quell’avanzo per alimentare crescita e occupazione manifatturiera, dirottare flussi verso l’Europa è più che un’opzione: è una necessità industriale.

Ed è qui che l’Europa “va in tilt”. Il Vecchio Continente è un mercato capiente, con gusti e standard simili a quelli americani ma con barriere politiche meno compatte e convalescenti: energia cara, transizione verde dagli oneri crescenti, filiere sotto stress, politiche industriali frammentate. Nel brevissimo periodo, l’arrivo di beni cinesi a prezzi più bassi potrebbe persino aiutare a raffreddare l’inflazione, offrendo alla Banca Centrale Europea un margine tattico sul costo del denaro.

I settori più esposti sono noti: acciaio e alluminio, chimica di base, fotovoltaico e batterie, automotive elettrico, macchinari e componentistica. Qui la competizione di prezzo, a cavallo di una valuta più debole e di sovraccapacità produttiva, rischia di diventare schiacciante. La Commissione europea alza la voce con indagini antisussidi e proposte di nuovi dazi, persino ipotizzando il raddoppio dei prelievi sull’acciaio.

Ma la partita dei dazi si incrocia con quella del cambio: se l’euro si rafforza per ragioni di ciclo o di flussi finanziari, quei muri doganali diventano più facili da scavalcare; se si indebolisce per aiutare gli esportatori, la dinamica dei prezzi interni torna a scaldarsi e la tensione con Washington sale. La BCE, dal canto suo, si muove in un corridoio stretto. Tagliare i tassi per indebolire l’euro significherebbe stimolare i consumi proprio mentre la competitività esterna è minacciata; mantenerli alti aiuta a domare l’inflazione ma deprime investimenti e domanda interna, rendendo più allettante la concorrenza asiatica. Sul terreno, intanto, le imprese contano i centesimi.

Le medie aziende esportatrici tedesche, il Mittelstand, vedono contrarsi gli ordini; i distretti italiani dell’elettromeccanica e della metallurgia fronteggiano offerte cinesi a prezzi sotto i costi europei; la chimica francese ricalibra turni e forniture. Le catene del valore si riadattano: alcuni attori europei comprano input cinesi più a buon mercato per restare competitivi, ma così trasferiscono all’estero la leva del prezzo e comprimono il valore aggiunto domestico. Una strategia di adattamento che, nel medio periodo, rischia di svuotare la base industriale.

Quartiere Cina
Cosa sta succedendo tra Cina ed Europa – uspms.it

A questo si sommano i movimenti dei capitali: se gli investitori fiutano una guerra valutaria, le rotazioni settoriali colpiscono i listini europei più esposti al commercio globale, mentre il costo del capitale per i progetti green e digitali risale di qualche punto base. Il racconto si chiude dove era iniziato: non sulle parole dei leader, ma sul rumore sordo dei cambi.

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