La diffusione globale dello Smart Working ha segnato una svolta nella vita professionale di milioni di persone. Tuttavia, esiste un limite ben preciso: la mancanza o la simulazione della prestazione lavorativa può portare a conseguenze drastiche, come il licenziamento.
Un esempio lampante è rappresentato da una grande banca che ha terminato il rapporto lavorativo con centinaia di dipendenti, a seguito della scoperta di periodi prolungati di inattività dei computer durante l’orario di lavoro. Questo episodio ha sollevato questioni riguardanti la metodologia e la proporzionalità delle misure adottate dai sindacati.

I Paesi anglofoni, come Stati Uniti, Regno Unito e Canada, guidano la classifica nell’adozione dello smart working, con i lavoratori che operano da casa per una media di 5-6 giorni al mese. Questo è dovuto a una cultura aziendale orientata alla performance, a infrastrutture digitali avanzate e a una contrattazione flessibile.
In Europa, la situazione varia notevolmente: i Paesi nordici si distinguono per una maggiore adozione del lavoro da remoto, mentre l’Italia rimane indietro, con una percentuale di lavoratori da casa inferiore alla media europea.
Smart Working, quando si rischia il licenziamento
Il rischio di licenziamento nello smart working si concretizza in diverse situazioni: lavorare da remoto senza accordo o autorizzazione, mancata o insufficiente esecuzione della prestazione, violazione del dovere di diligenza e fedeltà, e frode o abuso. Questi comportamenti violano gli obblighi contrattuali e possono portare a una terminazione del rapporto lavorativo.

Una grande banca ha licenziato centinaia di dipendenti dopo aver rilevato periodi di inattività dei computer aziendali durante l’orario di lavoro. Questa decisione ha scatenato le proteste dei sindacati, che hanno criticato la meccanicità del metodo e sollevato questioni sulla legittimità del monitoraggio a distanza. Il dibattito si concentra sul trovare un equilibrio tra il legittimo monitoraggio delle prestazioni e la protezione della privacy dei dipendenti, sottolineando l’importanza di policy chiare e di un approccio equilibrato allo smart working.
L’Italia mostra un ritardo nell’adozione dello smart working, con solo il 10,3% dei lavoratori che hanno operato da casa nel 2024, rispetto a una media europea del 22,6%. Tra le cause di questo divario vi sono la prevalenza di PMI, settori a bassa digitalizzazione, investimenti tecnologici disomogenei e una cultura manageriale meno incline a misurare la performance in assenza di una presenza fisica. Tuttavia, alcuni settori come i servizi digitali e la consulenza hanno adottato modelli ibridi, con policy chiare su orari e obiettivi.