Il cronometro scorreva lento, il respiro si faceva corto. Un’intera nazione era sospesa in un silenzio irreale, mentre un uomo, appena tornato da un infortunio che poteva spegnere la sua carriera, si preparava a un gesto che avrebbe segnato la storia. C’erano sguardi che dicevano tutto, mani che tremavano e un pallone che sembrava pesare più di quanto fosse. Ma quello che successe nei secondi successivi, pochi lo conoscono davvero.
Germania, 26 giugno 2006. Italia–Australia, ottavi di finale del Mondiale. Una gara tesa, dura, senza gol. Gli azzurri in dieci dopo l’espulsione di Materazzi, il caldo che toglie fiato e gambe. Tutti aspettavano solo i supplementari.
Ma all’ultimo respiro, succede l’imprevisto: Fabio Grosso entra in area, un contatto con Lucas Neill, l’arbitro fischia. Rigore. E qui inizia la vera storia.
Francesco Totti aveva rischiato di non essere nemmeno lì. Solo quattro mesi prima, un infortunio gravissimo alla caviglia aveva fatto temere il peggio. Operazione, placche, viti e riabilitazione lampo: il suo Mondiale sembrava finito prima ancora di iniziare.
E invece Lippi lo aveva portato. Non al meglio, certo, ma con un ruolo speciale: entrare nei momenti che contano. Nessuno immaginava che “il momento” sarebbe arrivato così.
Quell’ultimo rigore non era scontato. In panchina, c’erano giocatori freschi, rigoristi di professione. Ma Lippi guardò Totti, e Totti annuì. Racconterà poi che fu uno scambio di sguardi, neanche una parola. Come se entrambi sapessero che quel calcio dal dischetto era già scritto nel destino.
Un compagno, più tardi, confidò che Totti si fece dare il pallone senza neppure chiedere: «È mio».
Mentre si avvicinava al dischetto, Totti sentiva il cuore battere in gola. “Mettila dentro e siamo ai quarti”, gli ripeteva la mente. L’Australia sperava nel miracolo di Schwarzer, il portiere gigante.
Ma Totti aveva già deciso: rincorsa breve, tiro secco a mezza altezza. Gol. Braccia al cielo, dito in bocca per dedicare il momento a Cristian, suo figlio.
Quel gol non fu solo la qualificazione ai quarti. Fu la scintilla che accese l’Italia. La squadra trovò fiducia, compattezza e quella convinzione che la portò fino alla finale di Berlino, dove il 9 luglio 2006 alzò la Coppa del Mondo.
E molto probabilmente, senza quel rigore post–infortunio, la coppa non l’avremmo alzata come invece avvenne.
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