Tra critiche e difese, il nuovo esame solleva interrogativi sul futuro della scuola italiana.
Ogni cambiamento che riguarda l’Esame di Stato finisce inevitabilmente al centro di un acceso dibattito pubblico. La Maturità non è solo una prova scolastica, ma un rito di passaggio che segna la fine di un percorso e l’ingresso nell’età adulta. Per questo motivo, ogni riforma che ne modifica la struttura suscita forti reazioni tra studenti, insegnanti e famiglie.

Le nuove regole annunciate per il 2026 hanno subito polarizzato l’opinione pubblica: da un lato chi intravede l’opportunità di un esame più equilibrato e meno ansiogeno, dall’altro chi teme una perdita di valore e rigore nella preparazione degli studenti. La discussione è destinata a durare, perché al centro c’è un tema che riguarda il futuro della scuola e, di riflesso, quello delle nuove generazioni.
Maturità 2026: tra semplificazione e timori, la riforma che divide
La riforma dell’Esame di Maturità prevista per il 2026 ha scatenato un vespaio di polemiche sui social network e tra gli addetti ai lavori. La decisione di ridurre le materie portate all’orale da tutte a solamente quattro ha sollevato dubbi e preoccupazioni riguardo al livello di preparazione che verrà richiesto agli studenti italiani. Questa modifica, insieme alla scomparsa del documento iniziale scelto dalla commissione per avviare l’esame, rappresenta una delle novità più significative introdotte dal decreto approvato in consiglio dei ministri.

Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha difeso la riforma sostenendo che porterà a un esame “più serio e più sereno“, con l’intento di far emergere non solo le competenze acquisite dagli studenti ma anche la loro personalità, grado di autonomia e responsabilità. Inoltre, è stata data maggiore importanza alle attività extrascolastiche meritevoli e ai percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto), ora rinominati “percorsi di formazione scuola-lavoro”.
Nonostante queste motivazioni, molti ritengono che le nuove regole possano effettivamente “regalare il diploma a tutti“, come si legge nei commenti infuocati sui social. Le statistiche degli ultimi anni mostrano che solo lo 0,1% degli studenti ammessi all’esame viene bocciato – un dato stabile che suggerisce come la vera selezione avvenga prima dell’esame stesso. Infatti, nel 2024 il 3,6% dei maturandi non è stato ammesso a sostenere l’esame perché privo dei requisiti necessari; una percentuale simile si registra anche per il 2025.
Queste cifre alimentano ulteriormente la discussione sulle reali finalità della riforma: se da un lato sembra voler alleggerire lo stress legato all’esame finale del ciclo scolastico superiore – considerando anche episodi estremi come quello della Maturità 2025 dove alcuni studenti hanno protestato contro il sistema rifiutandosi di sostenere la terza prova – dall’altro pone interrogativi sulla diluizione del valore formativo dell’esame stesso.
In aggiunta alle modifiche relative all’orale, vi sarà una novità riguardante gli studenti con votazione insufficiente in condotta: dovranno affrontare una prova aggiuntiva con un elaborato sulla cittadinanza. Questo cambiamento mira a responsabilizzare ulteriormente i giovani sul piano sociale ed etico.

Le reazioni alla riforma sono miste: alcuni apprezzano l’intenzione del ministero di rendere l’esame meno oppressivo e più incentrato sullo sviluppo personale dello studente; altri temono che possa tradursi in una diminuzione generale delle competenze richieste per ottenere il diploma. La questione centrale rimane se questa riforma contribuirà realmente a migliorare il sistema educativo italiano o se finirà per devalutarlo agli occhi della società e del mondo del lavoro.