Attenzione a questi pesci tanto amati e che spesso portiamo in tavola: contengono altissimi livelli di mercurio. Ecco di quali si tratta.
Una nuova ondata di attenzione accompagna il consumo di alcuni pesci molto amati e considerati, da sempre, sinonimo di cucina sana. A sollevare domande non è la freschezza del prodotto o la provenienza geografica, bensì un fattore meno visibile: ciò che questi animali mangiano e per quanto a lungo vivono.

È lungo quella traiettoria, invisibile al banco del mercato, che si gioca la partita più delicata. Il pesce, infatti, seppure emblema della dieta mediterranea, nasconde una verità scomoda quando si sale ai vertici della catena alimentare. Quindi dovremmo prestare attenzione ad alcuni particolari pesci che portiamo in tavola poiché contaminati da molto mercurio.
I 5 pesci contaminati da mercurio
Le specie predatrici e longeve accumulano nel tempo mercurio, un metallo pesante che, una volta metilato negli ecosistemi marini, si concentra nelle loro carni. L’esposizione rilevante a questo contaminante è collegata a rischi per il sistema nervoso, il cuore e l’equilibrio generale dell’organismo.

Non è un allarme che riguarda soltanto donne in gravidanza e bambini: anche chi consuma spesso alcuni grandi pesci può incrementare la propria dose corporea oltre soglie prudenti. Il punto non è il “pesce del giorno”, ma il ruolo dell’animale nella rete trofica. Più è in cima e più a lungo vive, più biomagnifica le sostanze presenti nei suoi prede. Di seguito cinque specie indicate tra le più critiche per livelli medi o massimi di mercurio, da escludere dalle abitudini o da consumare con estrema parsimonia, soprattutto in caso di consumo frequente o in fasi della vita sensibili.
- Pesce spada, il gigante che inganna il palato, apprezzato in ristoranti e cucine domestiche, può presentare concentrazioni fino a 3,22 ppm di mercurio, oltre i livelli ritenuti sicuri in molti standard. La combinazione tra dieta a base di pesci più piccoli e longevità spiega un accumulo eccezionalmente elevato: a tavola, la sua eccellenza gastronomica rischia di coincidere con un profilo tossicologico scomodo.
- Squalo, simbolo dei mari ma scelta ad alto rischio, predatore per definizione, mostra una media di 0,979 ppm. La sua carne, proposta talvolta con nomi commerciali poco trasparenti, non è adatta a un consumo regolare: la presenza di mercurio nei tessuti è incompatibile con scelte alimentari ripetute nel tempo.
- Malacanthide del Golfo del Messico, il pericolo meno noto, raramente citato nei menù, e proprio per questo insidioso: la media si attesta su 1,45 ppm, con punte che superano 3,7 ppm. Chi lo consuma senza conoscerne la specificità rischia di esporsi a dosi molto elevate senza averne consapevolezza.
- Sgombro reale, il classico che sorprende al ribasso, a differenza di altri sgombri, la specie “reale” presenta valori medi di 0,730 ppm. Amato in versione affumicata o grigliata, non sempre viene distinto chiaramente da specie affini meno problematiche. L’abitudine a portarlo spesso in tavola, credendolo una scelta sempre virtuosa, può trasformarsi in un boomerang chimico.
- Tonno, il muscolo del mare sotto osservazione, dal sushi alla scatoletta, è onnipresente. La media di 0,689 ppm racconta solo parte della storia: gli esemplari più grandi, come il tonno blu, accumulano quantità superiori. La ricchezza in proteine e omega-3 non cancella la variabile mercurio, che pesa soprattutto quando il consumo è frequente.

Una volta ingerito in quantità significative, il mercurio (in particolare nella forma organica metilmercurio), si distribuisce nei tessuti e non viene eliminato con facilità. L’organismo lo metabolizza lentamente, con un’emivita tale da consentire un accumulo progressivo. Il risultato è una presenza “silenziosa” che può rimanere nascosta a lungo, fino a quando i sintomi non diventano evidenti.
In seguito a esposizioni elevate e ravvicinate, il quadro clinico può essere brusco: nausea violenta, vomito, dolori addominali intensi, diarrea anche ematica. A questi si associano compromissioni renali e alterazioni della circolazione potenzialmente gravi, quadri che richiedono intervento medico urgente. Episodi simili possono verificarsi in presenza di partite di pesce fortemente contaminate.
Molto più frequente è l’intossicazione cronica, che procede in sordina. Piccole dosi assunte per anni erodono precisione motoria e funzioni cognitive: compaiono tremori fini, difficoltà di coordinazione, cali di memoria. Si aggiungono stanchezza persistente, irritabilità, disturbi visivi e disfunzioni endocrine dall’inquadramento clinico complesso. Non è raro che i sintomi vengano confusi con patologie neurologiche o psichiatriche, ritardando la corretta identificazione della causa.
Sottovalutare l’esposizione significa lasciare che il mercurio si accumuli senza fare rumore. La scelta informata, a partire dalla spesa, è la prima barriera: conoscere quali specie concentrano di più i contaminanti, differenziare le opzioni e limitare i grandi predatori marini riduce il carico complessivo.
Prestare particolare attenzione in gravidanza, allattamento e nell’alimentazione dei bambini è una misura di prudenza fondamentale, ma il principio vale per tutti: la qualità nutritiva del pesce resta un valore, purché non si confonda con un lasciapassare universale. La salute, in questo caso, si difende anche con una gerarchia di preferenze e con la capacità di dire no alle specie “campionesse” di mercurio.