La pensione di reversibilità rischia di non essere più un approdo sicuro per chi resta. Ora l’INPS può davvero negarla e risparmiare tanti soldi. Per i superstiti questo diventa un vero problema.
Nelle ultime settimane, tra patronati e studi legali, rimbalza la stessa domanda: l’INPS può davvero dire di no a una prestazione che per decenni è stata considerata un presidio economico per vedove, vedovi e superstiti?

Il segnale che arriva è netto: l’istituto di previdenza, in casi sempre meno marginali, si sta attrezzando per negare l’assegno e, con ciò, alleggerire una spesa che vale miliardi nel bilancio pubblico. Per i nuclei familiari colpiti da un lutto, invece, lo scenario si complica: l’incertezza sull’accesso alla reversibilità diventa un problema concreto, perché la prestazione sostituiva del reddito del coniuge o partner deceduto è spesso la differenza tra equilibrio e vulnerabilità.
Nelle testimonianze raccolte in questi giorni emergono smarrimento e timore. Si moltiplicano i casi di richieste di documenti aggiuntivi, di verifiche più serrate, di domande sospese in attesa di “accertamenti”. Sulla scrivania dei funzionari non arrivano soltanto moduli: ci sono vite da riordinare dopo una perdita, bollette da pagare, mutui, affitti, figli all’università e genitori non autosufficienti da assistere. La reversibilità, per molti, non è un “di più”, ma una gamba essenziale della sedia del bilancio domestico.
Perché l’INPS può negare la reversibilità: cosa cambia davvero
Il motivo sta in un indirizzo giurisprudenziale recente, ripreso e rilanciato nell’analisi degli esperti, che ha chiarito un punto cruciale: l’INPS può opporsi al riconoscimento della reversibilità quando emergono indizi seri e concordanti che il presupposto familiare della prestazione non è reale o è stato creato in modo strumentale. Tradotto: se l’istituto ritiene che il rapporto coniugale o assimilato non esprimesse una vera comunione di vita e di interessi, può negare l’assegno e chiedere al giudice del lavoro un accertamento specifico, senza dover attendere una separata sentenza che travolga lo status personale.

Si apre così la strada a verifiche più penetranti su elementi di fatto: durata molto breve del matrimonio rispetto alla data del decesso, assenza di convivenza effettiva, mancanza di intreccio economico, residenze distinte non giustificate, quadri clinici terminali già noti al momento delle nozze, età molto diverse, rapporti familiari e affettivi precedenti mai recisi. Nessun indicatore, preso isolatamente, basta da solo; ma un insieme di segnali gravi, precisi e concordanti può legittimare il diniego. In questa cornice, l’onere iniziale di allegazione grava sull’INPS: l’ente deve portare elementi concreti. Spetta poi al superstite controbattere, dimostrando la genuinità del legame con documenti e testimonianze che attestino coabitazione, sostegno reciproco, gestione condivisa delle spese, progetti comuni.
Non si tratta, dunque, di un automatismo che cancella la reversibilità. Il diritto resta integro per chi è effettivamente coniuge o parte di un’unione civile con una storia reale di convivenza e solidarietà. Ma la soglia di attenzione si alza e le istruttorie si fanno più approfondite, soprattutto nei casi “di confine”. È un cambio di passo che promette un duplice effetto: da un lato, l’INPS ottiene più margine per respingere le domande ritenute abusive, con un potenziale risparmio per le casse pubbliche; dall’altro, cresce il rischio di contenziosi, tempi più lunghi e incertezze reddituali proprio nel momento più difficile per le famiglie.
Gli avvocati del lavoro mettono in guardia: chi presenta domanda farebbe bene a prepararsi a un percorso documentale più robusto, conservando prove della convivenza e della comunione economica, dalle utenze cointestate ai contratti di locazione, dalle dichiarazioni fiscali alla corrispondenza bancaria. I patronati, intanto, invitano a non farsi trovare impreparati e a chiedere subito un’assistenza qualificata in caso di richieste istruttorie atipiche o di preavvisi di rigetto.
Resta un punto sensibile: la soglia tra legittimo rigore e eccesso di sospetto. Il pericolo di colpire situazioni autentiche, ma atipiche, è reale: convivenze interrotte da ragioni di lavoro, residenze diverse per esigenze di cura, unioni tardive dopo anni di relazione non formalizzata, malattie improvvise che accelerano scelte di vita. Il nuovo corso chiede ai giudici un bilanciamento fine e impone all’INPS di ancorare i dinieghi a riscontri solidi, per evitare che l’esigenza di contenere la spesa scivoli in un restringimento ingiusto di diritti riconosciuti dall’ordinamento.