La truffa della “targa clonata e usata per una rapina” sta colpendo l’Italia: di cosa si tratta e come difendersi.
Allarme truffe in casa, con gli anziani nel mirino e la leva dell’urgenza come arma principale. Negli ultimi mesi si moltiplicano gli episodi di raggiri consumati tra citofoni e telefonate, in cui un presunto “ufficiale” o “carabiniere” chiede denaro contante per risolvere sedicenti emergenze legate a un parente in difficoltà o a un’indagine improvvisa.
La modalità è sempre la stessa: si induce la vittima a non riflettere, a consegnare quanto ha in casa – contanti, gioielli, oggetti di valore – con la promessa di un rapido chiarimento. In questa scia si inserisce la cosiddetta truffa della “targa clonata”, segnalata anche a Vasto, che sfrutta l’autorità percepita delle forze dell’ordine e la paura di guai giudiziari imminenti.
La truffa della “targa clonata” funziona così: la potenziale vittima riceve una telefonata da chi si presenta come carabiniere o funzionario, spesso con tono perentorio: “La sua auto è stata usata per una rapina”. A quel punto, l’interlocutore chiede il numero di targa, talvolta insinuando che servirà a “verificare” o “escludere il coinvolgimento”.
Una volta carpito il dato, scatta il secondo atto: al telefono compare un supposto “superiore” che conferma il sospetto e annuncia l’imminente arrivo di due agenti in borghese per eseguire un “sequestro” temporaneo di denaro e preziosi, così da “metterli al sicuro”.
In alternativa, il falso carabiniere induce la persona a recarsi subito in Motorizzazione per chiarire la posizione. Nel frattempo, resta in contatto telefonico per tenere occupata la vittima, mentre i complici approfittano dell’assenza per entrare in casa e svuotarla. Il fine è sempre lo stesso: ottenere accesso all’abitazione o farsi consegnare beni sotto pressione.
L’episodio segnalato a Vasto mostra quanto conti il sangue freddo. Una donna, contattata con la formula ormai collaudata, ha risposto che la sua auto si trovava in garage. Alla richiesta del numero di targa, ha opposto un rifiuto, dichiarando di non ricordarlo; quando il sedicente militare le ha passato un “superiore”, più incalzante, ha chiuso la conversazione: “Mi convochi formalmente in caserma”. Una scelta corretta che ha impedito ai truffatori di chiudere la trappola.
Per difendersi, vale qualche regola semplice. Le forze dell’ordine non chiedono denaro o gioielli per telefono e non dispongono sequestri in contanti tramite messi che passano a domicilio senza un atto formale, riconoscibile e verificabile. Di fronte a una chiamata sospetta, si deve chiudere e contattare direttamente i numeri ufficiali (112 o i recapiti della caserma/questura), oppure un familiare di fiducia.
Non si forniscono dati personali per telefono, numeri di targa compresi, né si autorizza l’accesso in casa a persone non attese e non verificate: un tesserino si controlla chiamando l’ufficio che la persona dichiara di rappresentare, usando numeri trovati autonomamente e non quelli forniti dall’interlocutore. Se qualcuno bussa in divisa ma non si attende visita, si chiede di tornare con un appuntamento e si verifica prima di aprire.
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