Contratti a termine: rinnovo automatico dopo 24 mesi? Come funziona davvero la conversione in tempo indeterminato

Cosa succede davvero quando un contratto a termine raggiunge i 24 mesi? Non un magico rinnovo automatico, ma una regola concreta che può trasformare il tuo lavoro in tempo indeterminato.

Smettiamola di girarci intorno: la confusione sui contratti a termine non è un dettaglio burocratico, è qualcosa che può cambiarti la vita (e lo stipendio) da un mese all’altro. Quante volte hai sentito frasi come “ti rinnoviamo ancora un pochino” o “poi vediamo”, senza sapere davvero cosa succede quando arrivi ai famosi 24 mesi?

stretta di mano
Contratti a termine: rinnovo automatico dopo 24 mesi? Come funziona davvero la conversione in tempo indeterminato – uspms.it

Ecco il punto: c’è chi pensa al fantomatico rinnovo automatico e c’è chi, per paura di chiedere, lascia sul tavolo la propria conversione in tempo indeterminato. Ecco allora come funziona davvero la conversione di un contratto a termine in quello indeterminato.

Come funziona davvero la conversione dei contratti a termine in quelli a tempo indeterminato

In Italia, la regola generale è semplice: la durata complessiva di un contratto a termine con lo stesso datore di lavoro non può superare i 24 mesi, considerando insieme proroghe e rinnovi. Non è un gioco di prestigio, è una soglia. Superata quella barriera, la legge prevede la conversione in contratto a tempo indeterminato. Non è un “rinnovo” deciso dall’azienda, non è un favore: è una conseguenza del superamento del limite.

due ragazze e un ragazzo ad un tavolo
Come funziona davvero la conversione dei contratti a termine in quelli a tempo indeterminato – uspms.it

Gli esperti del lavoro lo ripetono da anni e, sì, i CCNL possono prevedere alcune eccezioni organizzative, ma la regola del tetto di durata resta il faro. E, se c’è un aggiornamento già in calendario, è che questa disciplina risulta valida anche nel 2025, con proroghe normative fino a dicembre 2025. Come si presenta il problema nella vita reale? Di solito inizia in modo soft: firmi il primo contratto “per coprire un picco”, poi arriva una proroga, poi un rinnovo, poi “ancora un mesetto” per chiudere un progetto. Nel frattempo, tra ferie, festività e orari ballerini, nessuno ti dice chiaramente a che punto sei del conteggio.

Magari ricevi le comunicazioni a ridosso delle scadenze, e la sensazione è quella di correre con l’acqua alla gola. Se non controlli la tua anzianità cumulata nei contratti a termine, rischi grosso. Rischi di accettare un “mini-contratto tampone” che, in pratica, dovrebbe già essere un tempo indeterminato. Rischi che, per mancanza di chiarezza, ti vengano proposte interruzioni di pochi giorni pensando che “azzerano tutto”, mentre la regola parla di durata complessiva con lo stesso datore.

Rischi di perdere tutele, stabilità, potere negoziale su retribuzione e orari, e di trascinarti in un limbo precario che logora portafoglio e testa. Più aspetti, più diventa difficile rimettere insieme carte, email, comunicazioni e dimostrare il percorso contrattuale. E attenzione: la conversione non “arriva da sola” come una notifica sul telefono. Spesso va fatta valere con una richiesta chiara e documentata.

Infatti non esiste un rinnovo automatico dopo i 24 mesi. Quello che esiste è la possibilità — prevista dalla legge — che il tuo rapporto “scatti” in tempo indeterminato quando superi il tetto di durata complessiva con lo stesso datore. Tradotto: il superamento del limite può far scattare la stabilizzazione. Per questo è fondamentale tenere il conto con precisione, sommare tutte le proroghe e i rinnovi, e verificare cosa dice il tuo CCNL su eventuali eccezioni. Se ti stai chiedendo “ma chi lo controlla?”, la risposta pratica è: inizia tu.

Recupera lettere di assunzione, comunicazioni aziendali, date di inizio e fine di ogni contratto. Poi interroga l’HR: chiedi espressamente “quanti mesi complessivi ho maturato a termine?”. Quando si avvicina la soglia, mettilo nero su bianco.

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