Olio, da quello di oliva all’extra vergine: sai quali sono le differenze? Come distinguerli

Olio e olio extra vergine sono due cose diverse: quali sono le differenze e come distinguerli.

Davanti allo scaffale dell’olio è facile fermarsi incerti: i flaconi sono simili, le diciture si somigliano, ma dietro a quelle etichette si nascondono prodotti diversi per natura, gusto e impiego. Tutti provengono dallo stesso frutto, l’oliva, eppure olio di oliva, olio vergine ed olio extra vergine di oliva non sono sinonimi.

Olio in ciotola
Olio, da quello di oliva all’extra vergine: sai quali sono le differenze? Come distinguerli – uspms.it

Cambiano le modalità di produzione, i requisiti chimici e sensoriali, il profilo aromatico e, di conseguenza, anche il prezzo e il modo in cui conviene usarli in cucina. Capire cosa distingue le tre categorie aiuta a valorizzare una materia prima simbolo della dieta mediterranea e della nostra identità gastronomica. Ecco come riuscire a distinguere l’olio da quello extra vergine.

Come distinguere olio e olio extra vergine

La differenza chiave tra semplice olio di oliva ed extra vergine è nel processo e nella qualità finale. L’extra vergine nasce esclusivamente dalla spremitura meccanica delle olive, senza solventi né trattamenti chimici, e deve rispettare limiti precisi: per legge l’acidità libera (espressa in acido oleico) non può superare lo 0,8% e l’olio deve superare un panel test, cioè una valutazione sensoriale che ne attesti la presenza di profumi “fruttati” e l’assenza di difetti.

olive e olio in bottiglia
Come distinguere olio e olio extra vergine – uspms.it

Il “semplice” olio di oliva, invece, è una miscela: si ottiene raffinando un olio grezzo non commestibile (detto lampante) per eliminarne odori e imperfezioni, e aggiungendo poi una quota di olio vergine o extra vergine per restituire un minimo di carattere. Il risultato è un prodotto tendenzialmente neutro, con acidità massima all’1%, adatto soprattutto alle cotture e alle fritture, ma distante per complessità e pregio da un vero extra vergine.

È la punta di diamante della filiera. Alla vista può essere più o meno verde o dorato (il colore non è indice di qualità), ma al naso deve ricordare l’oliva fresca: note erbacee, di pomodoro, carciofo, mandorla o erbe di campo a seconda della cultivar e del territorio. In bocca sono benvenute una certa amarezza e un lieve pizzicore in gola: sono segnali della presenza di polifenoli, antiossidanti naturali che contribuiscono sia al gusto sia alla stabilità del prodotto.

La normativa consente la dicitura “estratto a freddo” quando l’estrazione avviene sotto i 27 °C; è un’indicazione in più, non l’unico criterio di scelta. Chi cerca tracciabilità può orientarsi su DOP o IGP, oppure su oli che riportano in etichetta annata di raccolta, frantoio e origine delle olive. L’olio di oliva vergine nasce come l’extra vergine, cioè solo per via meccanica, ma non raggiunge gli standard più severi: può presentare lievi difetti sensoriali e arrivare fino al 2% di acidità.

Resta un prodotto commestibile e spesso gradevole, con un profilo aromatico meno complesso. È una scelta pratica quando si cerca un buon compromesso per la cucina quotidiana, soprattutto in cottura o per preparazioni in cui l’olio non è protagonista. La raffinazione “pulisce” l’olio lampante rendendolo quasi inodore e insapore; l’aggiunta di una piccola quota di vergine o extra vergine restituisce un po’ di sapore, senza però la ricchezza aromatica delle altre categorie.

Per legge, in etichetta deve comparire la formula “olio di oliva – contiene oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini”. La neutralità lo rende adatto a fritture e cotture ad alta temperatura e a preparazioni in cui si desidera non alterare il gusto degli altri ingredienti. Leggere l’etichetta è la prima mossa: la categoria merceologica deve essere chiaramente indicata. Verifica poi l’origine delle olive (100% italiane, UE, extra UE o miste), l’annata di raccolta quando presente, il tipo di estrazione. Diffida delle bottiglie trasparenti: la luce degrada l’olio, meglio vetro scuro o latta.

insalata condita con olio
Che differenze ci sono tra olio ed olio extravergine – uspms.it

Una volta a casa, conservalo al riparo da luce e calore, ben chiuso e lontano dai fornelli. Un buon extra vergine profuma di oliva e vegetale fresco; al palato esprime equilibrio tra amaro e piccante, con finale pulito. Difetti come sentori di rancido, vino/aceto, umidità o metallico segnalano problemi di materia prima o di conservazione. L’olio vergine avrà toni più semplici e qualche lieve imprecisione; l’olio di oliva “semplice” risulterà più neutro, con intensità aromatica contenuta.

A crudo su insalate, verdure, pesce e carni, l’extra vergine esprime al meglio identità e profumi, valorizzando i piatti e apportando polifenoli e vitamine termolabili. In cottura dolce e soffritti leggeri, extra vergine o vergine sono ottime scelte; per fritture ripetute e ad alta temperatura, molti preferiscono l’olio di oliva per la sua neutralità, ricordando che anche un extra vergine di buona qualità, correttamente gestito, sostiene bene il calore grazie alla prevalenza di acido oleico. La scelta finale dipende dal risultato che si cerca: carattere e territorialità oppure discrezione e funzionalità.

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