La FIAT presto in mano dei cinesi? L’icona italiana sembrerebbe approdare in Oriente: cosa sta accadendo in queste ultime settimane.
Nelle ultime settimane una domanda si è fatta strada, rumorosa e inquieta, nei bar come nelle chat di fabbrica. Stanno vendendo FIAT alla Cina? Per molti, solo a pronunciarla è una pugnalata al mito industriale italiano, l’ennesimo capitolo di una stagione segnata da transizioni difficili, impianti sotto pressione e un mercato europeo che corre sull’elettrico a strattoni. Ma dietro il clamore della domanda c’è un dossier meno emotivo e più tecnico, che riguarda strategie di gamma, sinergie globali e il modo in cui i grandi gruppi stanno cercando di restare competitivi in un’automotive rifondata dal software.

I segnali sono ambigui, come spesso accade quando si incrociano geopolitica, tecnologia e marchi storici. Da Torino arrivano notizie di nuove assunzioni, ma anche richieste di “regole europee da cambiare” per riportare volumi e margini nelle fabbriche Ue. In parallelo, dai media finanziari filtrano indiscrezioni su possibili mosse inattese, capaci di spostare gli equilibri tra piattaforme, catene di fornitura e identità di brand. Il confine tra rilancio e snaturamento appare sottile: si può accelerare sull’elettrico senza rinunciare a sé stessi? E soprattutto: dov’è la linea rossa tra un’alleanza industriale e una cessione di sovranità tecnologica?
Stellantis, la tentazione di vendere auto cinesi Leapmotor con marchi europei: potrebbe iniziare con Opel
Secondo quanto riportato dalla stampa economica internazionale, Stellantis sta valutando una mossa senza precedenti in Europa: portare sul mercato comunitario un Suv elettrico sviluppato dalla cinese Leapmotor, ma con il logo di un marchio europeo del gruppo, Opel. Al centro del dossier ci sarebbe il B10, un modello a batteria che fa leva su un’architettura software centralizzata — una frontiera che in Occidente finora hanno messo in strada soprattutto Tesla e, più di recente, BMW — e su una piattaforma a costi competitivi.

Il perimetro industriale è noto: Stellantis detiene il 21% di Leapmotor e la maggioranza (51%) della joint venture che gestisce l’export dei modelli cinesi fuori dalla Cina. L’ipotesi al vaglio sarebbe quella di un “rebadging” in chiave europea del B10, con produzione nel cuore dell’Unione e un badge Opel al posto dell’originale. La geografia del progetto punta alla Spagna: lo stabilimento di Saragozza, dove già nascono Opel Corsa e Peugeot e-208, è indicato come candidato per l’assemblaggio del B10 a partire dalla fine del 2026.
Le stime interne parlano di una capacità compresa tra 150.000 e 200.000 unità annue a regime. Un volume che, nelle intenzioni, saturerebbe linee oggi sotto-utilizzate grazie al doppio canale Leapmotor/Opel, migliorando la redditività del sito. Sul fronte di governance e messaggi al mercato, il gruppo guidato da Antonio Filosa mantiene il riserbo. Il nuovo piano strategico è atteso entro il primo semestre del 2026, non più entro marzo, e potrebbe dettagliare come si incastrano sinergie cinesi, piattaforme condivise e rilancio delle fabbriche europee. F
ilosa, intanto, ai sindacati ha ribadito la necessità di rivedere alcune regole Ue per sostenere la competitività produttiva e ha annunciato 400 assunzioni a Torino, segnale che il baricentro italiano resta parte dell’equazione. Perché tutto questo parla così da vicino a FIAT e all’opinione pubblica italiana? Perché in un gruppo multibrand l’identità di ogni marchio è tassello di una narrazione collettiva. Se Opel fosse la prima a “europeizzare” un modello Leapmotor, inevitabile chiedersi se, e quando, un’operazione analoga potrebbe lambire i marchi popolari del Sud Europa, FIAT in primis.
Tra i fautori della mossa, l’argomento è pragmatico: ridurre time-to-market e costi di sviluppo per presidiare fasce di prezzo dove i produttori cinesi corrono; usare il logo europeo come garante di rete, assistenza e qualità percepita; riportare volumi in stabilimenti Ue sfruttando supply chain miste. I critici, invece, intravedono il rischio di diluire il Dna dei brand e di aprire la porta a una dipendenza tecnologica proprio mentre l’Unione Europea indaga sui sussidi statali alla filiera elettrica cinese e valuta misure correttive sul fronte dei dazi.
C’è poi il tema sensibile dei dati e del software: l’architettura centralizzata promette aggiornamenti over-the-air e funzioni avanzate, ma richiede standard di cybersecurity e governance dell’informazione che l’Europa sta definendo solo con normative specifiche.





